Buongiorno amici e buona giornata nella gioia del Signore Gesù Cristo. Oggi chiamati perché Cristo è venuto per dare inizio al regno messianico: nel suo nome i malati guariscono, i morti risorgano e la salvezza viene annunziata ai poveri. Consapevoli delle tenebre che ancora ci avvolgono, invochiamo il Signore come il cieco di Gerico: Figlio di Davide, abbi pietà di noi! Preghiamo per la pace nel mondo e per tutte le necessità dell’umanità.
Ero cieco da molti anni, trascorrevo le mie giornate seduto, a mendicare lungo la strada che conduceva al villaggio. Quella mattina un gran vociare di gente: «Passa Gesù, il Nazareno!». Come mosso da una spinta interiore, cominciai, allora, ad urlare sempre più forte: «Gesù, figlio di Davide abbi pietà di me!».
A Gesù non sfuggirono le mie urla e mi fece chiamare. Lo sentivo colmo di bontà e di benevolenza. «Cosa vuoi che io faccia, per te?», mi disse: «Signore, che io riabbia la vista». «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato».
La sua parola ha toccato le corde più intime del cuore: qualcosa di grande si stava compiendo in me. Quel che stava accadendo mi restituiva alla vita. La misericordia del Signore mi aveva raggiunto e cambiato il cuore. ( Lc 18,35-43)
Contemplo:
E Gesù ascolta il suo grido. La preghiera di Bartimeo tocca il suo cuore, il cuore di Dio, e si aprono per lui le porte della salvezza. Gesù lo fa chiamare. Lui balza in piedi e quelli che prima gli dicevano di tacere, ora lo conducono dal maestro. Gesù gli parla, gli chiede di esprimere il suo desiderio – questo è importante – e allora il grido diventa domanda: «Che io veda di nuovo, Signore!» (Mc 10,51). Gesù gli dice: «Va’, la tua fede ti ha salvato» (Mc 10,52). Riconosce a quell’uomo povero, inerme, disprezzato, tutta la potenza della sua fede, che attira la misericordia e la potenza di Dio. La fede è avere due mani alzate, una voce che grida per implorare il dono della salvezza. Il Catechismo afferma che «l’umiltà è il fondamento della preghiera» (CCC 2559). La preghiera nasce dalla terra, dall’humus – da cui deriva « umile », «umiltà» – viene dal nostro stato di precarietà, dalla nostra continua sete di Dio (cfr. CCC 2560-2561).