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Dalla familiarità al tradimento

Buongiorno amici. Oggi chiamati per un giudizio di salvezza e non di condanna. Dopo le aspre polemiche con i farisei ci si sarebbe aspettati che il tradimento giungesse da uno di loro. Invece, a tradirlo sarà uno dei fedelissimi, un apostolo seduto a mensa con Gesù, pronto a condividere un’intimità già dissacrata con il pensiero, a fingere una fedeltà già tradita nel profondo del cuore. Una cena agitata, una notte buia quella di Giuda. Sarà angosciante uscire per lui dalla luce per immergersi nelle tenebre. Giovanni, il discepolo che Gesù ama si china sul Maestro per conoscere il destinatario dell’accusa di tradimento. Gli apostoli, invece di scandagliare gli abissi del proprio cuore, cominciano a guardarsi l’un l’altro. Pietro, poi, presume di se stesso. Promette e giura ignaro dei propri limiti. Dovrà fare l’esperienza bruciante del fallimento per convertire il cuore. Quell’ultima cena è memoriale della passione, morte e risurrezione del Signore, rivissuto spesso distrattamente nelle chiese, un rito consumato in fretta, senza cuore e senza stupore. Dio continua a consegnarsi all’indifferenza dei discepoli nella speranza che avvenga il miracolo, fioriscano cioè la meraviglia e la conversione. Due eccessi: il tradimento di Giuda e la presunzione di Pietro. Giuda lo tradisce pur ricevendo il “boccone” dell’amico e maestro. Pietro esagera, vuole salvar Dio, è abitato da un fervore che già in altri momenti lo ha portato a gesti di presunzione. Da solo Gesù affronterà l’ultima decisiva prova d’amore. (Gv 13,21-33.36-38)