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Effatà: apriti!

Buongiorno amici. Oggi chiamati ad andare oltre i preguiziozi ed aprirsi all’amore del Signore. Il sordomuto, per essere guarito, è portato lontano dalla folla. Marco, nel suo Vangelo, lascia intendere che il villaggio, la gente, la folla sono un elemento negativo, che impedisce la guarigione. Gesù preferisce un rapporto diretto, personale, cuore a cuore per poter entrare in relazione intima e profonda con il malato. Ha ragione: siamo pesantemente influenzati dalle opinioni altrui, tendiamo ad omologarci al pensiero comune, temiamo il giudizio di chi ci sta attorno, soprattutto nella fede. Non va certo di moda, oggi, dichiararsi cattolici! Certo, papa Francesco, con la sua spontaneità e simpatia, ha un po’ migliorato la situazione ma, appena si supera l’emozione e si entra nello specifico, il cristianesimo appare come una fede reazionaria e conservatrice, ottusa e moralista. Quanto è difficile che un giovane si avvicini alla Chiesa! Il messaggio che gli proviene dal mondo dei coetanei e degli adulti è che il cristianesimo è qualcosa che riguarda i vecchierelli in procinto di morire… Anche noi, spesso, dobbiamo fare i conti con i pregiudizi altrui, e temiamo il giudizio degli altri sulla nostra fede. E, così facendo, restiamo sordi e muti. Preghiamo: Sono io quell’uomo che fatica a parlare, incapace di ascoltare. Muto di parole corrette, e sordo. Muto perché sordo. Sempre più mi convinco di quanto la qualità del mio ascolto sia decisiva per l’efficacia del mio parlare. Altri uomini mi conducono da Gesù, e Gesù mi porta in disparte, per un incontro personale. Salvezza, la mia, che passa sempre attraverso altri e, in essi, attraverso’Altro. Gesù parla con il suo corpo, in una liturgia di mani, dita, orecchi, lingua, sguardi. Apre i miei sensi, perché possa ritrovare il senso del vivere. Effatà: apriti! Fa udire i sordi e parlare i muti. Solo un’ecclesia audiens, una comunità con l’orecchio aperto alla Parola, può essere un’ecclesia docens, una Chiesa che in-segna, segna dentro l’uomo, restituendolo alla sua dignità di figlio. (Mc 7, 31-37)