Buongiorno amici. Oggi memoria di San Virgilio, vescovo. Oggi chiamati ad una esperienza forte, sconvolgente. Il vangelo di oggi non sembra rassicurarci troppo sul posto che ci viene riservato nelle assemblee di questo mondo. Portare il nome di Gesù genera sospetto, diffidenza, travaglio e, in alcuni casi, sofferenza. Perché il Cristo, facendosi uomo, ha scelto la causa degli uomini, la periferia, l’orlo del pozzo di Sichem verso mezzogiorno. Ha amato tutti ma ha scelto di frequentare gli ultimi, i diseredati, i peccatori, le donne di strada. Un Dio così, mi capite, diventa scomodo, incomprensibile, rompiscatole. Te lo trovi ovunque, in qualsiasi momento, senza preavviso. La tentazione è quella di mettergli “le mani addosso, di fermarlo, di ingessarlo in formule che non disturbano, di relegarlo nei libri, nei polverosi scaffali di una biblioteca. Così colui che porta il suo nome, il cristiano. Con la sua vita diventa scomodo, mette in discussione alcuni ordini prestabiliti. Trascina nel tribunale della coscienza espressioni di questo genere: «Non si può far nulla»; «Non si può cambiare il mondo»; «Devi essere pratico e stare con i piedi per terra», «Non c’è speranza», «Non c’è niente di nuovo sotto il sole», «Devi accettare la realtà». Ragionamenti che negano Dio, la sua potenza, la sua forza, la sua presenza. Così, alla lunga, è lui, il cristiano, ad essere trascinato in un altro tribunale, quello degli uomini. Viene relegato, deriso, emarginato dai primi posti. E’ il prezzo da pagare, il saldo per salvare l’anima. «Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome. ». Il nome di Gesù, un nome scomodo da portare. Se diventa comodo e suadente, se genera inchini o titoli, diventa sinonimo di tradimento, di dannazione eterna. (Lc 21,12-19)
