Buongiorno amici e buona prima domenica di avvento. Oggi chiamati a gioire per l’incontro con il Signore. Sono quattro le settimane che ci preparano al Natale, un’arca di salvezza che ci viene data per ritagliarci uno spazio di consapevolezza. Un mese per preparare una culla per Dio, fosse anche in una stalla. Gesù è già nato nella storia, tornerà nella gloria. Ma ora Gesù ci chiede di nascere in noi. Perché possiamo celebrare cento natali senza che mai una volta Dio nasca nei nostri cuori. Come dice splendidamente Bonhoeffer: «Nessuno possiede Dio in modo tale da non doverlo più attendere. Eppure non può attendere Dio chi non sapesse che Dio ha già atteso lungamente lui.» Il brano del Vangelo è faticoso e ostico e rischia di essere letto in chiave grottesca. Gesù, al solito, è straordinario: cita gli eventi simbolici di Noè, dice che intorno a lui c’era un sacco di brava gente che venne travolta dal diluvio senza neppure accorgersene. Perciò ci invita a vegliare, a stare desti, proprio come fa Paolo scrivendo ai Romani. E Gesù avverte: uno è preso, l’altro lasciato. Uno incontra Dio, l’altro no. Uno è riempito, l’altro non si fa trovare. Dio è discreto, modesto, quasi timido, non impone la sua presenza, come la brezza della sera è la sua venuta. A noi è chiesto di spalancare il cuore, di aprire gli occhi, di lasciar emergere il desiderio. Chiedendo di essere presi. (Mt 24,37-44)
