Buongiorno amici e buona XXVII domenica del T. O. Oggi festa di San Francesco d’Assisi, patrono d’Italia e fondatore dei francescani. Oggi chiamati a vivere nella vigna del Signore. Certamente riconosciamo nella parabola a chiare lettere il dramma dell’umanità, che vediamo ancora oggi ferita profondamente da abissi di conflittualità, dalla mancanza di pace, dalla discordia e a tratti dalla crudeltà. Gesù svela il cuore meschino e violento dei capi di Israele, ma con essi ci sentiamo toccati sul vivo anche noi, che siamo decisamente parte di questo mondo arrabbiato.
Tuttavia, dentro questo coraggio della denuncia vi è un annuncio di speranza più forte e incisivo. Esso prende il volto di Gesù stesso, che trasforma in verità anche quel padre di cui la parabola stessa tratteggia i lineamenti di una struggente pazienza. Il protagonista nella storia autentica del mondo della novità che cambia le cose è infatti il Figlio stesso, che davvero viene e prende su di sé le sorti della vigna, come pure quelle dei vignaioli. Si fa infatti presenza mite e assume le conseguenze della tragedia, sperando che con l’amore che non si ferma nemmeno davanti all’uccisione del giusto innocente, anche i colpevoli inciampino nella propria assurdità. L’amore debole, che non resiste e cede, è la pietra di scandalo, forte perché non oppone violenza a violenza, ma insondabile misericordia.
Avviene così che si sveli il mistero dell’eredità, ambizione riconoscibile nell’animo di tutti noi, operai della vigna più o meno fedeli, ma accomunati da questo desiderio di accedere al frutto prezioso del lavoro. Possiamo così scoprire dalla realtà della Croce, offerta libera del Figlio per la salvezza dei fratelli, che Egli stesso è l’eredità, e non solo l’erede. Egli stesso è il possesso che fa gustare i frutti di bene della vigna, Egli stesso è il tutto che appartiene al Padre, ceduto a noi perché attraverso Lui possiamo scoprirci figli ed entrare in comunione con l’Altissimo. Egli stesso è la sorpresa ai nostri occhi, perché infrange la spirale di odio scegliendo la via dell’amore e così offre la propria carne a farsi mangiare e il proprio sangue a divenire bevanda, doni saporiti, per tutti, del campo della vita.
Se accettiamo di essere fra coloro che bramano di godere il frutto della vigna, a prescindere da quanto in essa abbiamo sudato e faticato, è tempo di correre il rischio di porci a tu per tu con l’Erede, senza cacciarlo fuori dalle mura della nostra esistenza e lasciandoci coinvolgere nella novità di una relazione diversa. Le tracce del suo volto diventeranno le nostre: mitezza, pazienza e benevolenza, implicate nella sfida di ogni giorno, quella di relazioni da ricostruire continuamente per non cedere all’illusione delle cattive maniere. Mitezza, pazienza e benevolenza da diffondere a piene mani, instancabilmente, con la stessa cocciutaggine del Padre, perché questa è l’unica via che nel mondo potrà convertire la rotta, per una umanità a misura della propria dignità. (Mt 21, 33-43)
