Buongiorno amici e buona XXX domenica del T. O. Oggi chiamati allo stupore del cambiamento. Un fariseo e un pubblicano: due modi così diversi e opposti di porsi d’innanzi a Dio. Il primo sicuro di se, chiuso nelle proprie certezze, rivestito da una patina di perbenismo che lo porta a guardare tutto e tutti, anche Dio, se fosse possibile, dall’alto al basso; il secondo consapevole delle proprie miserie, schiacciato dal peso dei propri peccati. Nella parabola manca un terzo personaggio: sono io che, oggi, ascolto con stupore le parole di Gesù. Nel mio cuore c’è un po’ dell’uno e un po’ dell’altro; ci sono i colori sfarzosi dell’abito del fariseo, ci sono i colori spenti e sbiaditi dei logori stracci di cui è ricoperto il pubblicano. Questi due personaggi si alternano dentro di me, giocano a nascondersi l’uno agli occhi dell’altro. Ora mi sento buono e giusto d’innanzi a Dio, peccando così di presunzione. Poi, per grazia, mi è dato di avvertire la mia lontananza dai sentimenti di Gesù e allora mi metto all’ultimo posto, non oso alzare gli occhi al cielo. La mia vita, la vita del cristiano è una costantelotta per seguire Gesù, diventando piccolo e umile; devo deporre gli abiti sfarzosi del fariseo e gli stracci del pubblicano. Dio mi invita ad indossare l’abito nuziale: non è sfarzoso, ne sciatto; me lo trovo cucito addosso, me lo ha preparato Lui quando mia ha pensato, mi ha creato. Il modo giusto di porsi d’ innanzi al Signore è quello di essere se stessi, come Lui ci ha fatti: questa è la preghiera a Lui gradita. (Lc 18,9-14)
