Buongiorno amici. Oggi chiamati a non emettere giudizi impropri. Una specie di grande simposio, un vero e proprio consulto. Vengono da Gerusalemme, sono degli esperti, conoscono nei dettagli la legge e le Sacre Scritture. Il verdetto, meglio la diagnosi, non lascia appello: «Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del principe dei demòni». Un modo come un altro per screditare Gesù, per renderlo innocuo, ridicolo agli occhi della gente. Se, per i parenti, Gesù è un pazzo, per i dotti venuti da Gerusalemme è un indemoniato, un uomo posseduto da Satana. Non dobbiamo stupirci. Anche noi spesso cerchiamo di narcotizzare il Signore, lo emarginiamo, lo releghiamo in un angolo, lontano dal centro dei nostri interessi. Gli chiudiamo la bocca, lo liquidiamo con dei sottili ragionamenti, ridimensioniamo con estrema facilità la straordinaria novità del suo messaggio. “C’è qualcosa, nel fondo del cuore dell’uomo, che resiste a Dio e si oppone disperatamente al suo irrompere nella nostra vita” (Francesco Lambiasi). Di questo tremendo mistero ci parla proprio il brano evangelico di Marco. Infondo è il mistero stesso del male. Strano gioco. Mentre i dottori della legge emettono il loro verdetto, non si accorgono di essere loro stessi strumenti del Maligno, avvolti nelle tenebre, incapaci di riconoscere il bene. E’ il peccato più grave, una chiusura che sbarra le porte alla salvezza, la “bestemmia” contro lo Spirito Santo che non può essere perdonata. “Neppure Dio può costringere l’uomo a cambiare il proprio atteggiamento di rifiuto, se questo giunge fino al punto di capovolgere la realtà e di imputare al Santo, al Signore, una complicità col maligno. Questa colpevole chiusura sbarra la strada del profondo, impedendo alla luce del Salvatore di penetrarvi con la sua forza risanatrice. Perciò un simile peccato, finché è in atto, non è suscettibile di perdono” (Francesco Lambiasi). Non temo i miei peccati, le mie fragilità, quella voragine che mi separa da quello che “dovrei essere”. Temo il Peccato che giustifica il mio peccato, che mi fa accarezzare con compiacimento i miei limiti trasformandoli in un surrogato del bene, del vero bene. Temo il diavolo che non vuole la mia felicità, che falsifica la realtà, che tenta di allontanarmi dalla misericordia e dal perdono di Dio. Ecco perché amo quella piccola luce, la luce del confessionale dove tutto viene perdonato e dove il diavolo viene sconfitto e cacciato lontano da me. (Mc 3, 22 – 30)
